Curreri: Con gli Stadio vinco per le donne
«E pensare che dopo l’ultimo posto del 1984 non ci volevamo più tornare a Sanremo, questo palco quasi lo odiavamo». Gaetano Curreri, il leader degli Stadio, è da 40 anni un artigiano della musica italiana. Un mondo dove ha mosso i primi passi guidato da Lucio Dalla di cui gli Stadio erano la band, poi accanto a Vasco Rossi, oggi come autore di nomi come Pausini, Noemi, Pravo e molti altri. Un antidivo da dietro le quinte, insomma. Fino a che, a 64 anni, ci mette la faccia e le corde vocali e, stropicciato dall’emozione, guida la sua band alla vittoria al Festival di Sanremo 2016 con Un giorno mi dirai. La canzone, un dialogo tra un padre ed una figlia, ha conquistato in ugual misura, televoto, giuria degli esperti e giuria demoscopica. Altro che televoto a favore solo dei figli dei talent: «I giovani ci seguono perché sentono che siamo una band innamorata della musica», dice con il suo morbido accento romagnolo.
Curreri, ha messo in musica un toccante dialogo tra padre e figlia. Ma lei quante figlie ha?
«Neanche una. Ma ho vissuto tanto. E ora ho anche una serena nostalgia che è quella che alimenta il nostro nuovo album Miss Nostalgia (ndr: la copertina in foto). E ho vissuto sempre nel segno delle donne. Mi viene dalle mie due nonne meravigliose. Carmela, quella materna, romagnola, mi rimpinzava di cibo. Poi c’era Gilda, veneta che aveva sposato un siciliano. Lei mi aveva dato il ruolo di “uomo di casa” già a dieci anni. E mi trattava come un principe. A mia sorella che si arrabbiava perché doveva sempre pulire dove io facevo disastri, diceva “Lascialo stare, che lui l’è omo”. Avrei potuto diventare un terribile maschilista invece da subito ho cominciato a tifare per le donne».
La storia della canzone s’ispira a qualcuno?
«Non sono padre ma sono una specie di zio per le figlie di tanti amici che parlano con me a cuore aperto, più che in famiglia. Perché io non giudico, non do consigli, ma condivido emozioni. E così fa il padre della canzone. Ricorre alla nostalgia, al ricordo delle sue sofferenze d’amore per dare aiuto alla ragazza alle prese con un uomo che la fa soffrire. La prende sul serio, non la giudica sennò lei non starebbe mica ad ascoltarlo».
La sua sensibilità al femminile la fa autore di grandi donne. Non è un caso?
«No. Fa parte del mio innamoramento per le donne forti. Come Laura Pausini, che per me è la donna mamma per eccellenza. Laura è la Romagna, la mia terra, le mie tradizione. Anche fisicamente mi ricorda molto mia nonna Carmela, con il petto bello materno. Pravo è la rottura di ogni schema di ogni convenzione, la donna uomo. Noemi è la grinta, il vulcano, l’energia. Per le donne mi viene naturale scrivere. Per gli uomini faccio molta fatica. Con Vasco scriviamo insieme però, ma lì siamo in perfetta simbiosi, tale è l’amicizia».
Con Vasco una volta cantava Sulla faccia delle donne. Lei diceva:. “Io mi innamorerei”. E Vasco: “Invece io, io prima me la farei…”
«Era vita vissuta. A 20 anni lui se le portava a letto e le strapazzava. Io le consolavo. E m’innamoravo, sempre, di tutte. E lui non lo concepiva. Ora che anche lui è sposato da tantissimi anni gli dico “Hai visto che avevo ragione io?”».
E quando scriveva per e con Lucio Dalla?
«Era diverso. Lui era il mio maestro. Avevo anche parecchia soggezione di lui! Non avrei potuto aprirmi completamente».
Il suo primo concerto?
«A 15 anni, suonavo in un’orchestra a Rocca Malatina un paese vicino Zocca, dove è nato Vasco».
Sin da quell’età s’innamorava di tutte?
«Sì certo! Poi, ovvio, capitano anche le grandi storie d’amore, due o tre nella vita. Come Alessandra, mia moglie da 35 anni. Un po’ di lei c’è in tutte le mie canzoni. Senza il suo porto sicuro, non sarei così sereno».
Non le manca un figlio?
«Oggi no. Non più. I figli non sono arrivati. Con Alessandra (che ha sei anni in meno di me) c’è stato un periodo in cui abbiamo anche cercato di adottarli. Avevamo fatto tutto, ottenuto l’idoneità, ma un passaggio burocratico che ci ha bloccato. Faccio il vice padre con le mie due nipoti e con le figlie degli amici. Una ha avuto grossissimi problemi con l’anoressia. Il padre mi ha detto: “Parlaci tu”. Lei ora sta bene, non so se è merito mio. Ecco il mio ruolo oggi è questo: sono un testimone, un narratore».
C’è un dolore personale che l’ha segnata?
«Quando è morto mio padre, 15 anni fa, per molto tempo ho vissuto con l’angoscia, porca misera, di dovergli dire ancora un sacco di cose. Eppure l’ ho accompagnato fino alla fine, ero con lui, gli tenevo la mano. Anche a Lucio avrei ancora tanto da chiedere. Nel mio telefono ho ancora il suo numero. Non lo posso cancellare: e se una volta schiaccio, metti caso, e lui mi risponde?».
Un tema su cui vorrebbe dire e sentire di più?
«Mi appassiona tanto il tema dell’ambiente perché ho la fortuna di avere un pezzo di casa in un isola meravigliosa che è l’Isola dell’Elba. La Romagna, Bertinolo è il mio altro angolo di paradiso. Ci vado troppo poco. Pensa che il mio caro amico Biagio Antonacci ha comprato una casa che faceva parte di uno dei tre fondi di mio nonno che aveva lì le sue aziende agricole. E quando l’ ha comprata, Biagio mi ha mandato le foto e io l’ho riconosciuta. Era la casa dove da bambino andavo a fare la trebbiatura con mio nonno. Ah per me Romagna vuol dire sapore profumi. Bevo solo vino rosso, San Giovese ovviamente».
Farebbe il giudice in un talent?
«No, perché lo ha già fatto Noemi e mi ha raccontato che emotivamente ti coinvolge troppo. Io poi, come mi innamoro delle donne, mi innamoro degli artisti, sarebbe dura doverli mandare via».
Bruciano i talent?
«Assolutamente sì. Chi esce da un talent deve sapere che non è lì a portata di mano il successo, ma la gavetta dura tutta la vita. Io non l’ho ancora terminata. Quando lo terminerò magari mi ritroverò all’Isola d’Elba, dove ho una casa, con mia moglie, mia mamma, che ha 86 anni, e Vasco, se lo convinco a venire con me in bici sull’isola».
Integrale dell’intervista per il settimanale Diva&Donna